La Riconciliazione.

Il bisogno della conversione.
«Il tempo è compiuto; il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Così inizia la predicazione di Gesù. Gli esseri umani – e i cristiani per primi – hanno un grande bisogno di “conversione”, ovvero di un cambiamento di vita che li riporti a Dio. «Credete al Vangelo»; sono le parole che ci vengono dette all’inizio della Quaresima, nel giorno delle Ceneri.
Ma la conversione ci sembra troppo difficile; è per questa ragione che Paolo aggiunge «lasciatevi riconciliare con Dio!» (2Cor 5,20). Il sacramento della riconciliazione (che noi conosciamo meglio come “Confessione”) esprime questa realtà: è Dio stesso che ci viene incontro e che ci offre il suo perdono, in un modo del tutto gratuito, e per amore. Del resto già l’Antico Testamento diceva: «Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo!» (Lamen., 5,21).
Questo sacramento viene così incontro a quel desiderio di perdono, di pace, di riconciliazione che il Vangelo esprime nella preghiera del Padre Nostro: «perdona i nostri debiti». La celebre parabola del Padre misericordioso illustra molto bene questo movimento di ritorno a Dio – ma anche il movimento opposto, quello del fratello maggiore che si ritiene al di sopra del bisogno di convertirsi e non vuole far festa (si rilegga Luca 15,11-24). In questa parabola appare chiaro che il perdono è una vera e propria festa, un ritorno a casa. E così dovrebbe essere celebrato dai cristiani: con gioia, come una vera «festa del perdono».

Dio perdona… in molti modi.
Il sacramento della riconciliazione nasce dunque da questa convinzione profonda: Dio può perdonare i peccati degli uomini, come già sapeva bene l’Antico Testamento («con te è il perdono», dice il salmo 130). E’ Gesù stesso che incarna il perdono di Dio, come ci ricorda l’episodio del paralitico (Marco 2,7-10). Ma questo potere di perdonare il Signore lo affida anche ai suoi apostoli, dopo la sua resurrezione (Giovanni 20,21-23).
La chiesa antica lo ha sempre creduto, anche se le forme in cui questo sacramento è stato celebrato sono molto cambiate nel corso dei secoli. Se all’inizio la confessione dei peccati era pubblica e riguardava solo i peccati più gravi, i quali richiedevano una lunghissima penitenza (anche di anni), pian piano si è venuta sviluppando una forma di confessione privata, tra il ministro della Chiesa e il penitente, una forma che permetteva di rinnovare il sacramento quando si ricadeva di nuovo nel peccato. Poi è arrivata la regola di confessarsi «almeno una volta all’anno», per non dimenticarci che abbiamo continuamente bisogno di conversione; un invito che subito abbiamo travisato, trasformandolo in «una sola volta all’anno», e proprio perché devo farlo…

Oggi questo sacramento è indubbiamente in grave crisi; le ragioni sono molteplici: poca fiducia nella chiesa, mancanza di senso del peccato, pretesa di essere comunque a posto con Dio, responsabilità di preti che spesso hanno ridotto questo sacramento a una superficiale «lista della spesa» o che ne hanno fatto uno spauracchio da evitare, i cristiani che non comprendono più perché si debbano confessare proprio a un prete i propri peccati…
Cerchiamo adesso, anche se con molta semplicità, di comprenderlo un po’ meglio. Non dimentichiamo che Dio ha molti modi per perdonarci: nel Battesimo, nell’Eucarestia, negli atti di amore che gli esseri umani compiono nel suo nome… Il sacramento della riconciliazione non annulla tutte queste vie con le quali Dio perdona gli uomini, ma un po’ le riassume tutte.

Contrizione, confessione, penitenza.
La celebrazione del sacramento della riconciliazione comporta due momenti importanti: gli atti che compie il penitente e quelli che compie il Signore, attraverso il celebrante. A chi si accosta a questo sacramento è chiesto prima di tutto un atteggiamento interiore che la chiesa ha definito con il nome di “contrizione”: la disponibilità a riconoscere il proprio peccato e a prenderne le distanze, attraverso quel mezzo – mai andato in pensione – che si chiama «esame di coscienza». La mia “coscienza” è infatti il luogo più intimo dell’uomo, dove si gioca la realtà del nostro rapporto con Dio, dove soltanto io posso entrare.
Alla luce della Parola di Dio, il cristiano esamina se stesso: riconosce le grandi opere che Dio ha fatto in lui («grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente», come dice Maria), i benefici e i doni che Dio gli ha concesso, e, allo stesso tempo, la sua mancata risposta a tali doni e l’amore che non ha vissuto verso Dio, verso se stesso, verso i fratelli.
Con questo spirito, il penitente si rivolge al ministro del sacramento confessando i propri peccati con sincerità e con molta umiltà, senza cercare inutili giustificazioni e senza mentire; in particolare confessa quei peccati che lo hanno portato troppo lontano da Dio (peccati che la chiesa chiama “mortali”).
Al termine della celebrazione il penitente si impegna, aiutato dal celebrante, a gesti che possano ripare il male commesso o che possano rappresentare, in modo efficace, il nostro desiderio di cambiare vita (quella che si chiama la “penitenza”).

L’assoluzione dei peccati.
Nel sacramento della riconciliazione la parte più importante è quella però che spetta al Signore. Attraverso la parola e la mano del prete, Dio stesso interviene per offrire all ‘uomo il suo perdono. Di passaggio, val la pena di ricordare che è questa la vera ragione per cui ci si confessa dal prete, e non davanti a uno specchio: nella comunità cristiana è il prete, infatti, che nel sacramento agisce in persona di Cristo. A questa profondità del legame tra il prete e il Signore è legato ad esempio il rispetto assoluto del «segreto confessionale»; ciò che il penitente dice al prete è qualcosa che riguarda soltanto Dio.
La confessione non va poi confusa con una seduta dallo psicologo o un mezzo per sfogarsi con qualcuno; il prete può certo offrire consigli e orientamenti (e dovrebbe farlo…!). Ma il momento davvero centrale è quando egli stende la mano sulla testa del penitente e pronuncia le parole della assoluzione:

Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo in Cristo e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

In questo momento è Dio stesso che offre all’uomo il suo perdono. E ognuno di noi ne esce rinnovato e pieno di gioia.

Un cammino di riconciliazione.
«Dio ci ha riconciliati a se mediante Cristo» (1Cor 5,8): questo è il primo effetto del sacramento, l’essere in pace con Dio. Ma ciò comporta anche due altri effetti: prima di tutto, essere in pace con se stessi, riconciliati con la propria coscienza. Il sacramento della riconciliazione ci mette a nudo e ci permette di accettarci con i nostri doni, i nostri pregi, i nostri dubbi e i tanti nostri peccati.
La figura del prete ci ricorda infine che il sacramento della riconciliazione ricuce i legami da noi spezzati con gli altri, e con la comunità cristiana, prima di tutto. Il sacramento ci riconcilia anche con la chiesa e ci ricorda che non possiamo vivere da soli la nostra fede.
Luca Mazzinghi