II Domenica del Tempo ordinario – Anno B

Prima lettura: 1 Sam 3,3b-10.19
«Venne il Signore, stette accanto a lui e lo
chiamò come le altre volte: Samuele, Samuele!”. Samuele rispose subito:” Parla,
perché il tuo servo ti ascolta»

Seconda lettura: 1 Cor 6,13c-15a.17-20
«Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito»

Vangelo secondo Giovanni 1,35-42
«Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!” E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. […].
Andrea condusse suo fratello Simone da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù
disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa” – che significa
Pietro»

Il brano di oggi ci mostra l’incontro dei primi discepoli con Gesù, secondo il racconto del vangelo di Giovanni. Dopo il solenne prologo il quarto vangelo inizia il suo racconto presentando la settimana inaugurale della vita pubblica di Gesù.
Siamo nel terzo giorno di questa settimana che si concluderà poi con il segno dell’annuncio della novità del Vangelo nel primo dei sette segni che Giovanni racconta nel Vangelo: le Nozze di Cana.

Giovanni descrive la vocazione dei primi discepoli in maniera molto diversa rispetto agli altri tre evangelisti. Ed è proprio in questa differenza che noi dobbiamo cogliere la riflessione che Giovanni fa e ciò che ci propone affinché nell’ascoltare queste parole anche noi siamo coinvolti nel diventare noi stessi discepoli di Gesù.

Il brano si apre e si chiude dalla stessa espressione particolare: Giovanni fissa lo sguardo su Gesù e dice “Ecco l’agnello di Dio”; alla fine Gesù fissa lo sguardo su Simone e dice “tu sei Simone figlio di Giovanni e sarai chiamato Cefa che significa Pietra”. L’espressione “fissò lo sguardo” acquista nel racconto valore determinante.
Fissare lo sguardo non è semplicemente un vedere, un osservare, è un andare oltre, è un vedere nel profondo, è vedere il cuore, è vedere con occhi buoni, è cogliere la realtà dell’altro, l’identità dell’altro. È quel fissare lo sguardo che diventa il saper guardare con occhi nuovi le persone, cogliere la presenza dell’altro ed amarlo. È la potenza dell’amore che si manifesta nello sguardo. È quello sguardo a cui si era sottratto il giovane ricco perché era troppo attaccato alle sue cose, ma sarà anche lo sguardo che permetterà a Pietro di piangere perché aveva rinnegato Gesù. È lo stesso sguardo che i discepoli ricevono quando chiedono a Gesù di fronte all’esigenza della sequela “Ma chi mai si potrà salvare?” e Gesù risponde “Impossibile agli uomini, ma tutto è possibile presso Dio”. È un invito a fidarsi.

È lo sguardo che chiede una relazione, un rapporto, è lo sguardo che elimina già una distanza. Stavo pensando che oggi diventa davvero importante per noi cogliere il significato dello sguardo, siamo tutti con le mascherine e la prima cosa che possiamo fare è riconoscerci dagli occhi. Lo sguardo che va oltre il vedere, è lo sguardo di chi sa amare. Questo è lo sguardo con cui il quale Signore fissa ognuno di noi e ci chiama a rivolgere questo sguardo alle nostre sorelle e ai nostri fratelli per imparare a cogliere attraverso lo sguardo quel qualcosa in più che arriva al cuore dell’altro.

Giovanni vede Gesù, fissa lo sguardo su di Lui e dice ai discepoli “Ecco l’agnello di Dio”, “Ecco colui che porta la salvezza” e chiede loro di seguirlo. Mi piace questo passaggio: Giovanni è quel maestro che indica un suo discepolo, a quei tempi Gesù era discepolo di Giovanni, perché sa cogliere “quel di più” di Gesù e lo indica ai discepoli. È un maestro che sa indicare, che non attrae a sé, ma manda verso.
Come chiesa e come discepoli siamo chiamati a non se-durre, portare cioè a sé, ma ad e-ducare, cioè portare fuori, riuscire cioè a far sì che ogni persona possa fare l’esperienza di Gesù, possa avvertire su di se lo sguardo di Gesù e dimorare con lui.

Da questo sguardo nasce davvero un incontro, che avviene in questo modo: Gesù si accorge di questi discepoli che lo seguono, si ferma e domanda loro “Che cercate?” Sono le prime parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni, ed è bello pensare che la prima parola che Gesù dice non è una affermazione da credere, ma una domanda che ci interroga. Cosa cerchi? Cosa c’è nel tuo cuore? Qual è il tuo desiderio più profondo? Cosa ti muove? Questa è la domanda che siamo chiamati a porci. Rivolta ai discepoli e anche noi. È la domanda che ci interroga, perché seguire Gesù non è aderire ad una dottrina o ad una morale, ma è vivere una relazione. È imparare a rimetterci in discussione.
Sono le domande che fanno crescere le relazioni e ci mettono in movimento, in ricerca. La domanda ci mette in ricerca e verifica il senso della nostra ricerca, se è una ricerca sincera della verità, dell’amore, di ciò che è il senso più profondo della nostra vita.
A questa domanda i discepoli rispondono con un’altra domanda perché la relazione è fatta di domande, cresce con le domande non con risposte certe.
Dove abiti? Anche qui, il primo significato è “dove stai di casa?”, ma l’uso del verbo ménein, “rimanere, dimorare” che viene usato è più profondo, vuole dire “dove sta il tuo cuore?”, “dove è il tuo dove?”, “dov’è il significato della tua esistenza?”.
Vivere una relazione, è il cercare di comprendere l’altro in una ricerca autentica e sincera di quello che abita il nostro cuore.

La risposta di Gesù è “Venite e vedete”. Non risponde con una affermazione a cui credere, ma chiede loro di fare esperienza. Rimanere con lui, abitare con lui, vuol dire imparare a mettere il proprio cuore dove è il suo cuore, è vivere una relazione profonda di intimità dove i discepoli impareranno che Gesù pone il suo cuore nel Padre, nell’ascolto della sua parola, nell’obbedienza alla sua volontà, nel vivere secondo la logica del suo amore.
I discepoli impareranno a vivere di questa relazione e di questa comunione. Esperienza talmente forte che porta i discepoli a non tenersela per sé, avvertono l’esigenza di raccontarla e coinvolgere gli amici e i fratelli in ciò che loro vivono.
Attraverso loro Gesù incontra Simone e fissa lo sguardo su di lui, sguardo d’amore che dona una nuova identità, “Tu sei Simone figlio di Giovanni e ti chiamerai Cefa che significa Pietra”
Attraverso il nome gli svela la sua realtà, il senso della sua vita e della sua storia, perché è la relazione d’amore che svela a noi quello che siamo, quello che dà senso alla nostra esistenza.
Allora questo percorso, questo cammino che siamo invitati a fare, è lasciare che il nostro cuore si apra a questa relazione, che possiamo accogliere questo sguardo che non ci giudica, ma ci ama e ci accoglie e ci invita a fa esperienza di lui, della sua comunione e del suo amore perché la nostra vita sia davvero una espressione della gioia e dell’amore di Dio, della sua misericordia e della sua speranza.